domenica 27 settembre 2009

cronache di un sabato sera

Solo. Solo mentre il mondo affronta il sabato sera con il vestito migliore e le persone trovano il coraggio di uscire di casa stirando le marce verso la tangenziale.
Eccoli, stipati in fila indiana come carne da macello davanti ai registratori di cassa; posso sentire ansimare e battere forte di tacchi, posso sentire il rumore del fiato rotto dalle scalette del centro, lo scalpiccio sui sampietrini sdruccioli del corso, le risa scomposte e i clacson stonati della terza fila. Da qui, io posso anche sentirli imprecare.

Solo. Solo mentre i subwoofer pompano i bassi ai quattro angoli della città disseminando indifferenza nel mio circolo sanguigno. Solo mentre stringo forte tra le dita l’ultima sigaretta della giornata, solo mentre la consumo, solo mentre la guardo bruciare, mentre la vedo accendersi sul cemento lucido dell’asfalto e rotolare veloce lungo il canale di scolo del guardrail. Incollata allo specchietto retrovisore.

Solo. Solo mentre c’è chi affronta il Grande Raccordo e chi a quest’ora ha già infilato il casello dell’autostrada buttando dal finestrino i resti di una settimana passata a lucidare la scocca del proprio ego. Solo con le mie certezze diroccate, solo nel silenzio del loro assedio, solo mentre la municipale multa un giovane in divieto di sosta proprio sotto il portone dove ho speso il mio tempo migliore, in attesa di un riscontro. E si che poi l’ho avuta la tua attenzione. E l’ho spremuta come arance nel bicchiere dopo giorni di convalescenza.

Solo, solo mentre tento il sorpasso sulla corsia preferenziale, solo mentre osservo i lampeggianti nello specchietto retrovisore comunicarmi la mia inadeguatezza, solo mentre presso la cicca contro il cruscotto della mia Clio 1.2 azzurra metallizzata come il cielo.
E ho finito per colorare d’azzurro il nero dei tuoi occhi, e ho finito per ubriacarmi delle tue parole fino all’astinenza. Per niente stanco, ho affidato il nostro amore al postino affinché suonasse tutte le mattine il tuo campanello.
- Scusa Amore, non ti sembra di correre troppo?

In ogni caso, solo. Solo mentre gli autogrill scivolano via sulla destra, solo mentre le piazzole di sosta fanno a botte con le gite della mia adolescenza, solo mentre disinvolta mi passi una mano sulla cerniera dei pantaloni comunicandomi i propositi del dopo cena.
Solo nella mattina del mio compleanno, solo nella sera di natale, solo nei giorni di festa. Solo nell’ottusa solitudine dei miei angoli di rabbia.
E ho finito di credere ai tramonti di Turner, alle gite di fine settimana coi bambini a rotolarsi sui campi di erba medica.
- Scusa Amore, la porto su io la lettiera del gatto?

Solo. Solo mentre faccio le scale a due a due per non darti l’alibi di attaccare bottone, solo mentre spingo l’interruttore della luce, solo mentre riprendo fiato sul pianerottolo del terzo piano, mentre giro la chiave nella toppa e un attimo dopo sto già annusando l’aria consumata dell’appartamento. Solo mentre calpesto il tappeto persiano e tento la mimesi tra le suppellettili dell’ingresso.
- Amore, ti ho comprato lo spazzolino nuovo... mi senti Amore? E’ in bagno sul portaoggetti, vicino alla mensola...

A volte solo, mentre avanzo lentamente verso il salotto. Getto il cappotto sul divano, mi levo la giacca, slaccio la cravatta; affogo tutti i pensieri nel vortice dello sciacquone. E ho finito per credere che i pagliacci si concedono il lusso del pianto al termine dello spettacolo; che i pittori rimangono svegli sino all’alba, in attesa della luce migliore.
- Amore scusami, ma non vieni a letto? Guarda che ti aspetto...

Solo, solo nel riflesso della mia faccia bianca sullo specchio del bagno. Solo mentre lo spazzolino lavora di fino lungo l’arcata dei miei trentadue. Solo mentre massaggio con cura la mia virilità preparandomi ad un incontro che stanotte affronterò sulla destra, dalla parte formale del letto.
Formale, come i baci che intercetto lungo i nostri corpi freddi, a intervalli regolari. E il nostro orgasmo è solo un treno puntuale nella sala d’attesa di una stazione di provincia.
E ho finito di credere che la spalliera è solo una protesi del nostro matrimonio, che tutte le molle del letto hanno fissato lo smalto antiruggine per carenza di sollecitazioni, che su quel materasso senza macchie ci si può anche danzare, all’occorrenza, nei giorni di festa.
- Scusami Amore, ma adesso ho proprio sonno...

Solo, solo nel buio della camera da letto, solo dal silenzio dell’appartamento.
Vuoto. Deserto. Attesa.
E il crivellare ottuso delle tarme.

PS: - ...ricordati di mettere la sveglia, Amore.

mercoledì 16 settembre 2009

marmore

Ai piedi dell’Appennino reatino, poco dopo il paesino di Marmore, lungo la statale di Moggio e poco prima della galleria di Montelungo, c’è un piccolo chiostro con dentro una ragazza in grembiule che serve il caffè. Ha i capelli castano scuro raccolti in chignon, ombretto verde-acqua sulle palpebre e niente fondotinta a mascherare la sua carne pallida.
Mi accoglie con un sorriso celibe e m’invita al bancone, spolverando con un rapido movimento del braccio ogni piccolo granello di zucchero che ostacola il nostro campo d’azione. Denota anni di apprendistato quel movimento rapido e per nulla calcolato. E io lo annuso. E lei lo sa.
- Un caffè, grazie.
- Corretto?
- No, grazie.
- Eppure me lo immaginavo corretto...
- Ti è andata male, stavolta.
La osservo, mentre traffica con le prese metalliche della caffettiera. E’ voltata, di spalle, la canottiera azzurra che lascia scoperto il fondo schiena, la canottiera azzurra che fa a botte con il verde delle mattonelle, la canottiera che s’impiglia nello spigolo del frigo e tira forte dall’altra parte, al di là del bancone. Delinea il contorno delle scapole, e il contorno delle scapole mi acceca gli occhi, si butta in strada, percorre cinquecento chilometri, parcheggia sotto casa, fruga nel cassetto e lucida i ricordi, torna indietro e atterra nuovamente sul bancone. Si inzuppa nella ceramica del caffé e schizza il nero dai miei pensieri.
Fuori, sul bancone.
- Scusami...
- Non preoccuparti, ci sono abituata.
- Non dovresti esserlo.
- E invece si. Che altro ancora?

Mi rimetto in moto, ho ancora settantacinque chilometri da fare. La radio comunica bel tempo e prospettive rosee per i nati sotto il segno del Toro. Mi aspetta un matrimonio e qualche amico da ritrovare. Forse una prima colazione. Un numero telefonico da fare a pezzetti piccoli piccoli e un sorriso da buttare in corsa dal finestrino.
E poi ognuno per la sua strada e che non se ne parli mai più.

domenica 13 settembre 2009

il tuo stile

Il tuo stile è una resina incollata all’inguine, un umore scavato nell’interno coscia e un dolore rappreso fino ai tendini delle tue caviglie. Ciò che non possiedo non mi tange, se non fosse per la rincorsa dei miei giorni verso la punta stondata del tuo alluce destro. Incarnito.
Il tuo stile sta nella tua dipartita. E’ spalmato sul litorale destro della mia schiena diritta come fosse balsamo.
E ti mordi le labbra in silenzio senza il bisogno di rivincita.
L’amore, è uno stile libero.

giovedì 10 settembre 2009

un addio

Guardo le lancette affondare il colpo e mi chiedo se è giusto disertare la tua presenza. E ho pensato che sarebbe stato un peccato non rincorrerti fino all'ultima traversa del corso, proprio lì dove lo spartitraffico violenta la linea retta dei tuoi pensieri. Fino alla fine dell'angolo.
E mentre eravamo impegnati nella traversata dell'Atlantico, milioni di sguardi ci solleticavano addosso e ti solleticava anche l'inverno e io non potevo farci nulla.

martedì 8 settembre 2009

il peso di un bacio

Il peso di un bacio. Lo sforzo di un angolo di bocca per sollevare il peso di un trasloco. C'è spazio anche per te nel cassetto dei ricordi, basta non spingere troppo. Angoli di cameretta dove rincorrersi e armadi saturi di naftalina dove nascondersi. Un giorno mi hai detto: "Ti amo perché sai prenderti cura delle mie labbra". Eppure, tra tutti quei baci che non mi hai mai dato, nemmeno un soffio di tramontana contro cui sbatterci la testa. Sulle tue labbra screpolate, nemmeno un angolo di strada dove vomitare il nostro passato. Prossimo.