Inquadratura dal basso, bandoneon e seggiole di legno. Qualche avventore in sala e un paio di occhi vigili che bivaccano su una pelle bianca quanto un cartone di latte in scadenza. Lei si alza, di scatto, getta i suoi umori nella sala e si dirige con superbia verso il centro pista. Parte la Cumparsita, e poco dopo del mondo non resta che un pacco semi-chiuso, un refuso tagliato via, un cappotto abbandonato in lavanderia e lasciato ad ammuffire per chissà quanto tempo, altrove, in giacenza. E mentre la guardo, e mentre tutti la guardano, penso che non ho mai indossato un paio di scarpe così lucide da meritarmi uno spettacolo del genere. L’eleganza di una donna sta nelle caviglie: sottili, nervose, fragili. Tirate a lucido col grasso dei cavalli da corsa.
giovedì 12 novembre 2009
sabato 7 novembre 2009
at last
Affondi il mento sulla spalla destra mentre la linea del collo ricama con cura il chiaroscuro della stanza. Mi stai dicendo che da domani sarà tutto diverso e che soprattutto ogni cosa sarà tornata al suo posto, altrove, in un universo fatto di fogli sparsi e matite spuntate. Non hai più stretta per soffocarmi, e d’altra parte un universo non esiste se tutte le volte ce lo dobbiamo inventare. Me lo comunichi col gelo delle tue lacrime, che battono calde sulla mia pelle sudata. Sudata come un fiume che scorre rapido dalle palpebre al pavimento. Sudata di te, di noi, della nostra convalescenza. Che se vorrò cercare, domani, dovrò allungare le mani fino a sentire i muscoli strappare le cartilagini.
Ma ecco, sei ancora qui, poggiata sulla mia spalla, hai gli occhi caldi e il seno duro e i brividi che socchiudono le palpebre, e se non fosse per quel treno in partenza e per la fila che ci attende al binario due, ti avrei già sbattuta sul divano fino a farti implorare un accelerato ritorno.
E invece è con la dovuta calma che ce ne stiamo andiamo. Siamo qui, poggiati in casa, in bilico tra un caffè e una limonata. Con questa assurda musica che ci inzuppa e ci ricaccia dal mondo come fossimo una lenza lanciata a mare.
Il fatto è che non ci graffia lo spiglolo di un quarto d’ora né tantomeno il fischio riverberato del capostazione. Il fatto è che balliamo, e il mondo ai margini non c’interessa.
Ma ecco, sei ancora qui, poggiata sulla mia spalla, hai gli occhi caldi e il seno duro e i brividi che socchiudono le palpebre, e se non fosse per quel treno in partenza e per la fila che ci attende al binario due, ti avrei già sbattuta sul divano fino a farti implorare un accelerato ritorno.
E invece è con la dovuta calma che ce ne stiamo andiamo. Siamo qui, poggiati in casa, in bilico tra un caffè e una limonata. Con questa assurda musica che ci inzuppa e ci ricaccia dal mondo come fossimo una lenza lanciata a mare.
Il fatto è che non ci graffia lo spiglolo di un quarto d’ora né tantomeno il fischio riverberato del capostazione. Il fatto è che balliamo, e il mondo ai margini non c’interessa.
Anzi, ci aspetta.
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