Forse come i latticini ce ne andremo in scadenza, nell’ultimo ripiano del frigo o piuttosto in uno scomparto qualunque di un ospedale del centro. Tu verrai a trovarmi in una domenica a pranzo, affronterai il traffico e tutti i lavavetri della circonvallazione ovest. Lascerai le mozzarelle nel frigo, i tranci di maiale e la carne guasta esposta sul tagliere, con buona pace dei parenti venuti da lontano. Ti spolvererai la coscienza che è cosa necessaria prima d’imboccare il reparto, penserai alla morte ma ci sbatterai i tacchi sopra un attimo prima d’entrare in corsia. Mi guarderai e abbasserai lo sguardo, come gli aquiloni che non ce la fanno proprio a prendere il volo quando tira bonaccia.
Quest’inverno lo passerai a pregare, ne sono certo.
Poi verrà il natale, tua madre indosserà il vestito con le perle turchesi e gli orecchini dell’ultima comunione, tua madre sempre più nervosa, il cesto e i torroni vicino al camino.
- Grazie, ma non doveva…
- Ma si figuri…
- Insisto, non doveva.
- Insisto, si figuri.
E allora la vita è veramente un grande botto a capodanno, il modo più economico di farsi le seghe, tua madre che si masturba sui convenevoli, tua madre che non lo sa cosa vogliono dire le lacrime quando battono i tasti neri del pianoforte. Tua madre sempre più nervosa, Raffaele che non sta bene, e poi c’è l’edicola da mandare avanti.
Il pomeriggio io lo passavo a giocare, alla Chiesetta eravamo un branco di cani sciolti col muso piallato sul cemento. La notte sognavamo, dio sa quanto sognavamo, ognuno col suo spartito e il suo ginocchio da medicare. C’era Cribari, terzino sinistro del Fontana Anagni e poi c’era Quiselli, centravanti di sfondamento delle giovanili. C’era Bracalone e Fratoni che facevano a gara a chi le menava più forte e poi c’era Lucia la Pazza, che c’insegnava a ingoiare in fretta il biscotto. Poi c’ero io, che a 18 anni non sapevo ancora crossare e incornare di potenza versa la rete.
Ora piangi, adagiata in dispensa. Poi in un attimo scappi di casa ed è già il treno che arrivava in stazione. C’incontriamo nell’atrio e tu lo vedi che sono ancora in piedi. Baci e piangi che le lacrime fanno un po’ di solletico, mi lecchi la barba che fa schifo tutto questo annaspare. Che fatica la mimica dei sensi, interpretare; vorrei stringerti chissà quanto in quest’androne della Tiburtina, ci siamo finiti per caso e non chiedermi perché le cose vanno sempre a finire in un cesso.
Forse come i latticini ce ne andremo in scadenza, me lo domando tutte le volte che le cose scappano via di corsa senza chiedermi il permesso. Per esempio anche adesso che schivo le buche della Portuense e me ne sto tranquillo sui cordoli del Trullo. Guardo le persone ai bordi della carreggiata e penso dove mai se ne andranno a parare. Se c’è un androne di casa, un anfratto del cazzo dove poter riparare, quello spazio è anche un po’ mio. Se c’è un posto di merda dove vomitare quel po’ di dissesto, quel posto è ancora più mio.
Mentre abbandoni l’atrio e ti sposti veloce verso la porta d’ingresso, io guadagno i giorni che ci hanno reso felici. Tu non lo sai, ma siamo ancora in debito. Ho ancora quel pezzo di peluche sul fondo delle tasche, io non ho mai smesso di toccarlo, io non ho mai smesso di vederti arrivare dal fondo di una strada. Oggi il tuo peluche perde il pelo che è uno spettacolo, vederselo volare per casa è un privilegio che mi concedo raramente.
Cavolo, ti sento ancora.
Non è più un gioco vederti sfumare, ora sono abbastanza grande e le cose le vedo per quello che sono. Le cose sono battiti di cuore e sale cristallizzato sulle guance. Dammi retta, smetti la posta del cuore e impara a muovere il culo. Vienimi a trovare nel migliore dei giorni e lascia perdere i fornelli. Impara a fare la fila. La strada ti lascerà il passo, sarà straordinaria la corsia preferenziale, vederseli sfilare di fianco, i principianti. Niente sarà più lo stesso, i pensieri s’incastreranno nel modo giusto e le festività non avranno più a che fare con le file ai caselli. Poi la strada farà il resto, sulle corsie d’emergenza ci saranno ì giullari a darti il buongiorno; sulle corsie d’emergenza, solo escavatori a ributtarti nel mondo.
Un giorno qualunque aprirai il frigo e ti ricorderai della spesa. Allora entrerai nell’ipermercato e sarai spavalda quando il cassiere t’incalzerà con la carta dei soci in scadenza. Te la caverai con poco, polemizzando coi vecchi sui dettagli del maxisconto. Reclamerai quei 14 punti che mancano per raggiungere il bonus e te ne tornerai vittoriosa a casa, finalmente, coi marmocchi che hanno fatto la cacca e il marito che valuta orgoglioso gli scatti della pensione. Fantastico.
Da queste parti è sempre un giorno qualunque, attendo sulla banchina l’Intercity delle sei e il freddo è così forte che forse mi scappa da ridere.