Cerco i tuoi occhi, seduto qui su una panchina dell’aeroporto di Schonefeld. E i tuoi occhi sorridono, come sempre quando li trovo.
Ho una immagine di te che scivola via leggera tra Potsdamer Platz e Friedrichstraβe. Mi giro, e improvvisamente cambio direzione; cerco qualcosa che appena riesco ad intuire. La bellezza dei tuoi occhi che sorridono, e penso che sarebbe favoloso baciarti mentre cammini al mio fianco. Così, solo qualche bacio, di quelli che conosci e che ti fanno sorridere perché forse sono troppi, tanti baci tutti assieme lasciano il tempo che trovano. Il tempo ladro degli amanti, un tempo a mancare, quasi fosse da sempre in fuga.
Ti seguo lungo Yorckstraβe fino ai decadenti quartieri di Kreuzberg. E penso che è qui che avremmo dovuto incontrarci. In uno di questi bistrot che fanno l’occhiolino all’avventore di passaggio. Ti osservo dal vetro mentre sorseggi il tuo caffè con l’aria assorta di chi ha smarrito un pensiero perché non ricorda più il destinatario. Indugio ancora un attimo perché devo trovarti, come un architetto che plasma la sua idea dalla materia complessa dei sogni.
Ti amo Giorgia, amo ogni brivido che tradisce un’emozione, ogni parola rubata all’amore. Questo pensavo in Alexander Platz mentre guardavo la tua immagine riflettersi nella fontana e il tramonto scaldarti il cuore. Mi avvicino e sfioro con le labbra la tua pelle. Il tuo profumo si espande tutto attorno portato in giro dal vento dell’Est.
Tutto è equilibrio e passione discreta. Qui la gente ama ciò che è degno d’amore. Trent’anni di segregazione insegnano a riconoscere il necessario, ad inseguire l’indispensabile in ogni angolo di questa città.
Mi muovo lungo Ostbahnhof fino alla Warschaner straβe. Qui i colori sono quelli del neo-realismo italiano. Sembra di rivedere la Magnani a braccetto con Aldo Fabrizi. C’era il dopoguerra e c’era la voglia di tornare a sorridere. Già, il tuo sorriso…e la voglia di solleticare i tuoi giorni fino a sentirli vibrare coi miei.
C’è un tempo rapido tra di noi, immagini confuse che corrono via veloci al finestrino di un treno in corsa. E c’è un tempo pigro, voglia di lasciarle andare le cose. Le persone scivolano via comunque, meglio se non fanno rumore.
Ti seguo fino ai sobborghi di Gropiusstadt, dove il cielo è grigio come il cemento. Qui i bambini giocano a pallone contro latte di alluminio e imparano più in fretta cosa vuol dire vivere. Un battito d’ali improvviso e quando va bene un paracadute per un atterraggio indolore. Acrobazie dell’anima nei giorni di sole.
Sulla Potzdamerstraβe ti tenevo la mano. Qui, all’angolo del Bulowbogen, Christiane Felsherinow si è fatta il suo primo buco. Sfioro le tue dita, ascolto i tuoi pensieri. Li conosco, sono già stati i miei pensieri. Fluiscono lenti tra due corpi inerti, danzano, rimbalzano, cadono e infine…dormono.
Brividi. Brividi dappertutto. Elettricità diffusa che va a morire sulla punta dei tuoi seni. Qui, in Wittenberg Platz.
E allora ho paura. Paura che questa città si riprenda indietro tutto, ogni emozione, ogni sguardo, ogni transizione. E allora devo scrivere di noi, e devo farlo in fretta. Il tempo falserà anche questi attimi, non saremo risparmiati; perché vento e polvere sono la sostanza dei ricordi.
E’ tardi. Mi fermo lungo i marciapiedi della Kurfurstenstraβe. Attendo le ultime emozioni tangibili prima che ogni cosa vada a sedimentare nel sottosuolo dei ricordi. Le ultime persone infilano di corsa il sottopassaggio per la stazione della metropolitana. Bahnhof Zoo. E allora mi volto ed inizio a muovermi con le persone, con calma, disinvolto, in fondo anche io sono come loro, di passaggio. Li osservo, in questo fiume di andate e ritorni. E vorrei entrare in ogni loro esistenza perché una sola mi sta stretta.
Respiro a pieni polmoni…posso sentire l’aria fresca entrarmi dentro e sciogliere questo letargo; e sento di sentirmi vivo finalmente, esattamente come loro. Ma è soltanto un istante, il breve tempo di una inspirazione. Il più delle volte sento le lancette affondare il colpo nella carne fresca.
Monto sul treno. S2, direzione Bernau. Le metropolitane si assomigliano tutte, qui come a Roma. Luoghi informali, discreti, dove la gente culla i pensieri di un’altra giornata. Pensieri corti, pensieri giusti, pensieri lunghi. Pensieri da capolinea.
Il vetro riflette la tua immagine. Me ne rendo conto solo ora che mi trovo con gli occhi inchiodati al finestrino di questo treno in corsa. Mi volto e ti trovo lì. Con il sorriso. E con le lacrime che bucano il silenzio di questo istante.
Mi abbracci. Le lacrime rigano il collo prima di cristallizzare più in basso, forse dalla parte del cuore.
So cosa provi. Ci sono ferite che si aprono lungo gli abbracci. Per troppo amore o per questione di tempi, troppo spesso sbagliati. Ferite da leccare con la lingua che sa di sale…
Lo so. Il tempo incalza e noi non abbiamo armi per difenderci. A volte ti ho avuta vicina, a volte lontana. A volte ti ho cercata senza trovarti mai. Sono stati i momenti più belli. Quelli in cui l’assenza si coniuga al desiderio. Questo pensavo mentre il treno sostava in Oranienburger straβe.
Adesso le tue mani stringono i miei fianchi, non mollano la presa. Quattro fermate. Solo quattro fermate e saremo solo passato da sgocciolare lento sui nostri ricordi. Lo so, lo sai. “Sono ferite che si aprono lungo il tempo incerto di un abbraccio”, te lo ripeti ogni volta che il treno rallenta.
Che bello però. E’ l’imprevisto che bussa al mio cuore e lo rende attento, in attesa di quel brivido che fa di me una persona migliore. Grazie.
Bornholmer straβe. Le nostre mani si cercano, intuiscono un distacco. Capita.
Il treno rallenta, questa è la nostra fermata, Pankow.
Ti lascio qui, sul marciapiede di questa stazione, in questo giorno fradicio di partenze.
E penso che l’amore è tutto questo. Quella linea invisibile che muore a largo della nostra immaginazione…
Qui, a Berlino Est.
in "Pensieri d'inchiostro"
Ho una immagine di te che scivola via leggera tra Potsdamer Platz e Friedrichstraβe. Mi giro, e improvvisamente cambio direzione; cerco qualcosa che appena riesco ad intuire. La bellezza dei tuoi occhi che sorridono, e penso che sarebbe favoloso baciarti mentre cammini al mio fianco. Così, solo qualche bacio, di quelli che conosci e che ti fanno sorridere perché forse sono troppi, tanti baci tutti assieme lasciano il tempo che trovano. Il tempo ladro degli amanti, un tempo a mancare, quasi fosse da sempre in fuga.
Ti seguo lungo Yorckstraβe fino ai decadenti quartieri di Kreuzberg. E penso che è qui che avremmo dovuto incontrarci. In uno di questi bistrot che fanno l’occhiolino all’avventore di passaggio. Ti osservo dal vetro mentre sorseggi il tuo caffè con l’aria assorta di chi ha smarrito un pensiero perché non ricorda più il destinatario. Indugio ancora un attimo perché devo trovarti, come un architetto che plasma la sua idea dalla materia complessa dei sogni.
Ti amo Giorgia, amo ogni brivido che tradisce un’emozione, ogni parola rubata all’amore. Questo pensavo in Alexander Platz mentre guardavo la tua immagine riflettersi nella fontana e il tramonto scaldarti il cuore. Mi avvicino e sfioro con le labbra la tua pelle. Il tuo profumo si espande tutto attorno portato in giro dal vento dell’Est.
Tutto è equilibrio e passione discreta. Qui la gente ama ciò che è degno d’amore. Trent’anni di segregazione insegnano a riconoscere il necessario, ad inseguire l’indispensabile in ogni angolo di questa città.
Mi muovo lungo Ostbahnhof fino alla Warschaner straβe. Qui i colori sono quelli del neo-realismo italiano. Sembra di rivedere la Magnani a braccetto con Aldo Fabrizi. C’era il dopoguerra e c’era la voglia di tornare a sorridere. Già, il tuo sorriso…e la voglia di solleticare i tuoi giorni fino a sentirli vibrare coi miei.
C’è un tempo rapido tra di noi, immagini confuse che corrono via veloci al finestrino di un treno in corsa. E c’è un tempo pigro, voglia di lasciarle andare le cose. Le persone scivolano via comunque, meglio se non fanno rumore.
Ti seguo fino ai sobborghi di Gropiusstadt, dove il cielo è grigio come il cemento. Qui i bambini giocano a pallone contro latte di alluminio e imparano più in fretta cosa vuol dire vivere. Un battito d’ali improvviso e quando va bene un paracadute per un atterraggio indolore. Acrobazie dell’anima nei giorni di sole.
Sulla Potzdamerstraβe ti tenevo la mano. Qui, all’angolo del Bulowbogen, Christiane Felsherinow si è fatta il suo primo buco. Sfioro le tue dita, ascolto i tuoi pensieri. Li conosco, sono già stati i miei pensieri. Fluiscono lenti tra due corpi inerti, danzano, rimbalzano, cadono e infine…dormono.
Brividi. Brividi dappertutto. Elettricità diffusa che va a morire sulla punta dei tuoi seni. Qui, in Wittenberg Platz.
E allora ho paura. Paura che questa città si riprenda indietro tutto, ogni emozione, ogni sguardo, ogni transizione. E allora devo scrivere di noi, e devo farlo in fretta. Il tempo falserà anche questi attimi, non saremo risparmiati; perché vento e polvere sono la sostanza dei ricordi.
E’ tardi. Mi fermo lungo i marciapiedi della Kurfurstenstraβe. Attendo le ultime emozioni tangibili prima che ogni cosa vada a sedimentare nel sottosuolo dei ricordi. Le ultime persone infilano di corsa il sottopassaggio per la stazione della metropolitana. Bahnhof Zoo. E allora mi volto ed inizio a muovermi con le persone, con calma, disinvolto, in fondo anche io sono come loro, di passaggio. Li osservo, in questo fiume di andate e ritorni. E vorrei entrare in ogni loro esistenza perché una sola mi sta stretta.
Respiro a pieni polmoni…posso sentire l’aria fresca entrarmi dentro e sciogliere questo letargo; e sento di sentirmi vivo finalmente, esattamente come loro. Ma è soltanto un istante, il breve tempo di una inspirazione. Il più delle volte sento le lancette affondare il colpo nella carne fresca.
Monto sul treno. S2, direzione Bernau. Le metropolitane si assomigliano tutte, qui come a Roma. Luoghi informali, discreti, dove la gente culla i pensieri di un’altra giornata. Pensieri corti, pensieri giusti, pensieri lunghi. Pensieri da capolinea.
Il vetro riflette la tua immagine. Me ne rendo conto solo ora che mi trovo con gli occhi inchiodati al finestrino di questo treno in corsa. Mi volto e ti trovo lì. Con il sorriso. E con le lacrime che bucano il silenzio di questo istante.
Mi abbracci. Le lacrime rigano il collo prima di cristallizzare più in basso, forse dalla parte del cuore.
So cosa provi. Ci sono ferite che si aprono lungo gli abbracci. Per troppo amore o per questione di tempi, troppo spesso sbagliati. Ferite da leccare con la lingua che sa di sale…
Lo so. Il tempo incalza e noi non abbiamo armi per difenderci. A volte ti ho avuta vicina, a volte lontana. A volte ti ho cercata senza trovarti mai. Sono stati i momenti più belli. Quelli in cui l’assenza si coniuga al desiderio. Questo pensavo mentre il treno sostava in Oranienburger straβe.
Adesso le tue mani stringono i miei fianchi, non mollano la presa. Quattro fermate. Solo quattro fermate e saremo solo passato da sgocciolare lento sui nostri ricordi. Lo so, lo sai. “Sono ferite che si aprono lungo il tempo incerto di un abbraccio”, te lo ripeti ogni volta che il treno rallenta.
Che bello però. E’ l’imprevisto che bussa al mio cuore e lo rende attento, in attesa di quel brivido che fa di me una persona migliore. Grazie.
Bornholmer straβe. Le nostre mani si cercano, intuiscono un distacco. Capita.
Il treno rallenta, questa è la nostra fermata, Pankow.
Ti lascio qui, sul marciapiede di questa stazione, in questo giorno fradicio di partenze.
E penso che l’amore è tutto questo. Quella linea invisibile che muore a largo della nostra immaginazione…
Qui, a Berlino Est.
in "Pensieri d'inchiostro"
2008/Antology Giulio Perrone Editore - Lab, Roma
ISBN 978-88-6316-032-1
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