Ai piedi dell’Appennino reatino, poco dopo il paesino di Marmore, lungo la statale di Moggio e poco prima della galleria di Montelungo, c’è un piccolo chiostro con dentro una ragazza in grembiule che serve il caffè. Ha i capelli castano scuro raccolti in chignon, ombretto verde-acqua sulle palpebre e niente fondotinta a mascherare la sua carne pallida.
Mi accoglie con un sorriso celibe e m’invita al bancone, spolverando con un rapido movimento del braccio ogni piccolo granello di zucchero che ostacola il nostro campo d’azione. Denota anni di apprendistato quel movimento rapido e per nulla calcolato. E io lo annuso. E lei lo sa.
- Un caffè, grazie.
- Corretto?
- No, grazie.
- Eppure me lo immaginavo corretto...
- Ti è andata male, stavolta.
La osservo, mentre traffica con le prese metalliche della caffettiera. E’ voltata, di spalle, la canottiera azzurra che lascia scoperto il fondo schiena, la canottiera azzurra che fa a botte con il verde delle mattonelle, la canottiera che s’impiglia nello spigolo del frigo e tira forte dall’altra parte, al di là del bancone. Delinea il contorno delle scapole, e il contorno delle scapole mi acceca gli occhi, si butta in strada, percorre cinquecento chilometri, parcheggia sotto casa, fruga nel cassetto e lucida i ricordi, torna indietro e atterra nuovamente sul bancone. Si inzuppa nella ceramica del caffé e schizza il nero dai miei pensieri.
Mi accoglie con un sorriso celibe e m’invita al bancone, spolverando con un rapido movimento del braccio ogni piccolo granello di zucchero che ostacola il nostro campo d’azione. Denota anni di apprendistato quel movimento rapido e per nulla calcolato. E io lo annuso. E lei lo sa.
- Un caffè, grazie.
- Corretto?
- No, grazie.
- Eppure me lo immaginavo corretto...
- Ti è andata male, stavolta.
La osservo, mentre traffica con le prese metalliche della caffettiera. E’ voltata, di spalle, la canottiera azzurra che lascia scoperto il fondo schiena, la canottiera azzurra che fa a botte con il verde delle mattonelle, la canottiera che s’impiglia nello spigolo del frigo e tira forte dall’altra parte, al di là del bancone. Delinea il contorno delle scapole, e il contorno delle scapole mi acceca gli occhi, si butta in strada, percorre cinquecento chilometri, parcheggia sotto casa, fruga nel cassetto e lucida i ricordi, torna indietro e atterra nuovamente sul bancone. Si inzuppa nella ceramica del caffé e schizza il nero dai miei pensieri.
Fuori, sul bancone.
- Scusami...
- Non preoccuparti, ci sono abituata.
- Non dovresti esserlo.
- E invece si. Che altro ancora?
Mi rimetto in moto, ho ancora settantacinque chilometri da fare. La radio comunica bel tempo e prospettive rosee per i nati sotto il segno del Toro. Mi aspetta un matrimonio e qualche amico da ritrovare. Forse una prima colazione. Un numero telefonico da fare a pezzetti piccoli piccoli e un sorriso da buttare in corsa dal finestrino.
E poi ognuno per la sua strada e che non se ne parli mai più.
- Scusami...
- Non preoccuparti, ci sono abituata.
- Non dovresti esserlo.
- E invece si. Che altro ancora?
Mi rimetto in moto, ho ancora settantacinque chilometri da fare. La radio comunica bel tempo e prospettive rosee per i nati sotto il segno del Toro. Mi aspetta un matrimonio e qualche amico da ritrovare. Forse una prima colazione. Un numero telefonico da fare a pezzetti piccoli piccoli e un sorriso da buttare in corsa dal finestrino.
E poi ognuno per la sua strada e che non se ne parli mai più.
3 commenti:
Hai respirato un pò della mia aria. Come era? Buona? Io l'ho trovata sempre piacevole. Quel chiostro a metà fra la vecchia e la nuova strada... C'ho trovato sempre qualcosa di magico, come se avessi effettivamente potuto scegliere fra continuare a percorrere la vecchia via che mi avrebbe portato inesorabilmente dove comunque mi avrebbe portato la nuova.
Quindi inforcavo nuovamente la mia moto e il casco e andavo per la vecchia. Più curve, più ruvida la strada. Lo sfrecciare non mi avrebbe fatto pensare ad altro.
Per il Leone? Nulla di nuovo ne sentimentalmente, ne per il lavoro.
Forse una prima colazione ad un chiostro fra Moggio e Montelungo.
E' straordinario sapere che le emozioni trascritte su carta possono incontrarsi anche fisicamente. Che siamo stati entrambi a quel bancone con gli stessi pensieri da viaggio. C'è qualcosa di magico in tutto questo.
Si. Ed è bello rientrare e toccare il bancone con una mano. Sfiorarti appena e sentire il tuo pensiero vicino.
Ascoltare la porta aprirsi alle spalle e sorridere non voltandosi. Sollevare la tazzina e portarla alle labbra.
"Buongiorno..."
E sorridere ancora. Perchè le tue lettere hanno finalmente il suono della tua voce.
E i sogni non muoiono mai.
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