I nostri occhi s’incontrano fuori del locale, quasi come si fossero dati appuntamento. Un milione di persone lì fuori non ci sfiorano nemmeno, non riescono neppure a farci girare la testa sul più bello; che poi è il solito spettacolo dei luoghi comuni, come a dire che anche stasera si vomita sul sigillato tombino della municipale.
E intanto mi concedi un’irriverente viaggio in fondo ai tuoi occhi, mentre cerchi invano di aggrapparli alla mattonella dove ti è toccato di posare i piedi. E lì ci trovi solo un rigo di pioggia che non riesce a decantare, mentre le tue scarpe già si muovono più in là, dove la folla scema e non c’è più rumore, dove le discussioni perdono di tonalità, dove le serate girano a ritroso, come fossero al cinematografo.
E proprio lì, vicino al muretto d’entrata del Lochness, le tue scarpe incontrano la pelle nera delle mie Dr. Martens, baciandole sulla punta. E mi dici “ciao”, con quell’imbarazzo pronunciato che mi autorizza ad innamorami dei tuoi occhi acqua e sapone. E poi ci baciamo sulle guance, come amici sopravvissuti di una sera qualunque, in quell’unica sera dove non siamo riusciti a comprendere nemmeno le regole del nostro rapporto, indecisi persino sui cucchiaini di zucchero da aggiungere al caffè. Ricordi?
E tutta questa indecisione, dopo un mese di latitanza, ce la trasciniamo dietro come carcerati in attesa di un verdetto. E la nostra condanna è tutto questo tempo trascorso altrove, smembrato dall’assenza.
E così precipito in fondo ai tuoi occhi, per un istante non avverto nemmeno il gelo tagliente di febbraio rimboccarmi il cappotto; e tutto il resto va in blocco, trascinato di prepotenza nel limbo delle cose rinviate a domani, in attesa di giudizio. Metto in aspettativa i pensieri quotidiani, non è con loro che condividerò la fine della sigaretta.
E intanto mi concedi un’irriverente viaggio in fondo ai tuoi occhi, mentre cerchi invano di aggrapparli alla mattonella dove ti è toccato di posare i piedi. E lì ci trovi solo un rigo di pioggia che non riesce a decantare, mentre le tue scarpe già si muovono più in là, dove la folla scema e non c’è più rumore, dove le discussioni perdono di tonalità, dove le serate girano a ritroso, come fossero al cinematografo.
E proprio lì, vicino al muretto d’entrata del Lochness, le tue scarpe incontrano la pelle nera delle mie Dr. Martens, baciandole sulla punta. E mi dici “ciao”, con quell’imbarazzo pronunciato che mi autorizza ad innamorami dei tuoi occhi acqua e sapone. E poi ci baciamo sulle guance, come amici sopravvissuti di una sera qualunque, in quell’unica sera dove non siamo riusciti a comprendere nemmeno le regole del nostro rapporto, indecisi persino sui cucchiaini di zucchero da aggiungere al caffè. Ricordi?
E tutta questa indecisione, dopo un mese di latitanza, ce la trasciniamo dietro come carcerati in attesa di un verdetto. E la nostra condanna è tutto questo tempo trascorso altrove, smembrato dall’assenza.
E così precipito in fondo ai tuoi occhi, per un istante non avverto nemmeno il gelo tagliente di febbraio rimboccarmi il cappotto; e tutto il resto va in blocco, trascinato di prepotenza nel limbo delle cose rinviate a domani, in attesa di giudizio. Metto in aspettativa i pensieri quotidiani, non è con loro che condividerò la fine della sigaretta.
No...non è la loro sera questa: è la nostra.
E la nostra sera la passiamo a giocare ai dadi sul bancone di un pub debordante, lanciandoci gli sguardi come sampietrini in un giorno di festa; a distanza, per non tradire troppo in fretta la buona fede di chi ti tiene la mano.
E ci ripromettiamo il domani, mordendoci la pelle di nascosto, mentre ti dico che non ne posso più e che me ne devo andare.
Pago il conto, e spendo le ultime monete per assicurarti un posto in prima classe nello scompartimento sovraffollato del mio cuore.
E la nostra sera la passiamo a giocare ai dadi sul bancone di un pub debordante, lanciandoci gli sguardi come sampietrini in un giorno di festa; a distanza, per non tradire troppo in fretta la buona fede di chi ti tiene la mano.
E ci ripromettiamo il domani, mordendoci la pelle di nascosto, mentre ti dico che non ne posso più e che me ne devo andare.
Pago il conto, e spendo le ultime monete per assicurarti un posto in prima classe nello scompartimento sovraffollato del mio cuore.