sabato 7 novembre 2009

at last

Affondi il mento sulla spalla destra mentre la linea del collo ricama con cura il chiaroscuro della stanza. Mi stai dicendo che da domani sarà tutto diverso e che soprattutto ogni cosa sarà tornata al suo posto, altrove, in un universo fatto di fogli sparsi e matite spuntate. Non hai più stretta per soffocarmi, e d’altra parte un universo non esiste se tutte le volte ce lo dobbiamo inventare. Me lo comunichi col gelo delle tue lacrime, che battono calde sulla mia pelle sudata. Sudata come un fiume che scorre rapido dalle palpebre al pavimento. Sudata di te, di noi, della nostra convalescenza. Che se vorrò cercare, domani, dovrò allungare le mani fino a sentire i muscoli strappare le cartilagini.
Ma ecco, sei ancora qui, poggiata sulla mia spalla, hai gli occhi caldi e il seno duro e i brividi che socchiudono le palpebre, e se non fosse per quel treno in partenza e per la fila che ci attende al binario due, ti avrei già sbattuta sul divano fino a farti implorare un accelerato ritorno.
E invece è con la dovuta calma che ce ne stiamo andiamo. Siamo qui, poggiati in casa, in bilico tra un caffè e una limonata. Con questa assurda musica che ci inzuppa e ci ricaccia dal mondo come fossimo una lenza lanciata a mare.
Il fatto è che non ci graffia lo spiglolo di un quarto d’ora né tantomeno il fischio riverberato del capostazione. Il fatto è che balliamo, e il mondo ai margini non c’interessa.
Anzi, ci aspetta.

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