venerdì 11 giugno 2010

Ayrton

Il primo maggio del novantaquattro io avevo diciannove anni e una ragazza con cui correre tutti i fine settimana. Il primo maggio del novantaquattro io la vita non potevo capirla perché certe cose scappano via di corsa e non bisogna pensarci troppo quando le cose corrono più forte di te. Se corrono più forte ci dev’essere un motivo e a diciannove anni non c’è ancora un buon motivo per fermarcisi a pensare.
Il primo maggio del novantaquattro c'era un gran silenzio e mia madre che mi abbracciava sulla banchina della stazione. Io quel giorno i sui occhi non li guardavo perché piangevano forte e una mamma che piange forte è un’altra cosa che non si racconta. C’era un gran silenzio perché la vita uno la scopre solo quando la trasmettono sui telegiornali, e allora ti prende quel coccolone che quando sei piccolo non lo puoi capire perché tutto il silenzio del mondo esiste solo nel perimetro del letto di un bambino che sogna. Poi quel silenzio cresce e col tempo accosta tutti i letti del mondo, le case, le famiglie, le situazioni, perché il dolore del mondo intero è la colla più forte. E allora il primo maggio del novantaquattro bastava sporgersi dal finestrino della Fiesta 1.2 per sentire dai terrazzi l’edizione straordinaria del Tg1.

Alle 14.17 di domenica primo maggio 1994, la Williams di Ayrton colpisce il muretto di cemento all'esterno della curva del Tamburello a una velocità di circa 200 km/h. Nel violento urto il lato destro della vettura è devastato, le due ruote, le ali, e i triangoli delle sospensioni, volano in aria come proiettili mentre la vettura rimbalza lenta verso il bordo pista.

Mamma dice che non è ancora finita, mamma dice che preparerà in fretta un bagno caldo e che ci si butterà dentro vestita. E dice anche che la corsa non sarà mai più la stessa se è vero che manca il campione. Io le chiedo che cos’è un campione e lei mi risponde che è qualcosa che si vive la tua vita migliore. Io le chiedo perché le cose finiscono e lei mi dice che le cose non finiscono mai se c’è qualcuno che se le sogna. Io dico a mamma se sognare è un po’ come crescere in fretta e lei mi dice di non mettere mai i piedi fuori dal letto. Poi butta indietro i capelli e mi asciuga le guance: ed è un’altra cosa che non si racconta, la gioia.

La Williams esaurisce la sua energia strisciando e impuntandosi nella fascia d'erba fino a fermarsi a pochi metri dall'asfalto. L'elicottero riprende impietoso la scena, il casco giallo di Ayrton è reclinato a destra, immobile, sotto il primo sole che brucia l’asfalto. Poi, per due volte, il pilota ha un riflesso incondizionato e si muove come per raddrizzarsi; ma è solo un lampo che dura pochissimo, i primi uomini del servizio raggiungono la monoposto e si rendono conto della situazione: il pilota non è cosciente, il casco è letteralmente zuppo di sangue. Ayrton viene estratto dall'auto e disteso sul cemento di fianco, il suo cuore batte ancora quando i medici operano una tracheotomia per liberare le vie respiratorie; sotto di lui, distesa sul cemento nuovo del Tamburello, si espande una macchia rossa inequivocabile.

Odore di primavera, odore di magnolia nelle sale d’aspetto fino in fondo all’ultimo vagone di terza classe. Odore di fresco, dappertutto. Io avevo appena fatto l’amore, io annusavo la vita e avevo le mutande umide e la patta ancora aperta sui calzoni. Io non lo potevo capire tutto quel silenzio, io non ero ancora fatto per il mondo e il mondo era una matrioska rossa da sbavare fino all’osso. Non ero l’uomo che faceva il lavoro, la famiglia, la storia. Per me la vita era il circuito di Indianapolis senza la curva del Tamburello e le curve erano parole che se le sbagli puoi sempre usare il bianchetto.

L'elicottero del servizio medico atterra sul rettilineo del Tamburello, Ayrton viene trasferito dal circuito di Imola all'ospedale di Bologna. Il mondo spera mentre il campione va’ ripetutamente in arresto cardiaco. I medici riescono a mantenere in attività il cuore fino al ricovero nella stanza 214 dell’ospedale Maggiore, ma è del tutto inutile. Il primo bollettino diramato è inappellabile, l'encefalogramma del pilota è completamente piatto, solo le macchine tengono il suo cuore in attività. Alle ore 18:40 Ayrton viene ufficialmente dichiarato morto.

Mamma, dimmelo ancora perché le cose la smettono di correre, ripetimelo fino all’alba e poi ancora fino a quando le cose non passeranno il Tamburello e saranno già troppo lontane. Come funziona quando si perde o si vince, se è il caso di esultare o se magari è questione d’incagli e si passa la vita nella pena di niente. Cosa ne faccio del mio carico di sogni, li potrò ancora scambiare al mercatino di Via delle Streghe o saranno già vuoti come vasi di terracotta? Forse le cose hanno fretta di andare a sbattere o forse è la strada che è piena di curve, non saprei dirti, mamma; me lo domando tutte le sere in quel perimetro di letto ma sono ancora qui che mi alleno a stringerle senza il gusto di acchiapparle. Perché le cose scappano via di corsa che persino tu ora ai fretta di spegnere la luce. Almeno dimmi se ti trovo sotto il cuscino o se oggi è già un pezzetto in meno che mi stringe la mano. E se mi racconti qualche bugia guarda che prima o poi lo capisco, ché un campione chiude gli occhi e lascia andare le cose anche quando tu piangi. Perché le cose non finiscono mai se c’è qualcuno che se le sogna.

- Mamma, che cos’è un campione?
- E’ qualcosa che si vive la tua vita migliore.

Dormi adesso che è tardi.

1 commento:

Asha Sysley ha detto...

Hai toccato un qualcosa di particolare. Ho pianto nuovamente come quel giorno. E ho ascoltato questa canzone. La conosco a memoria. E ho chiesto anche io a me stessa "anche se a volte non è servito a niente ..." ma credo che tutto possa veramente servire. Anche se non troviamo effettivamente l'utilità della morte nella nostra quotidianità. Anche se a volte non comprendiamo cosa possa essere un eroe. Perchè si diventa eroi solamente quando non si è più in grado di sapere che lo si è stati. "Anche se a volte non è servito a niente ..." rimane nella nostra testa, perchè nessuno ci fermerà più per dirci che ora, che non siamo più, siamo degli eroi.
E mi immagino il suo sorriso pulito, se avesse ascoltato una frase del genere. E veramente le cose non finiscono mai, se c'è qualcuno che le sogna ... ancora.

E rimane dentro di noi, il sapore di quei giorni, che rivedo in bianco e nero nella mia testa. Mia nonna che scuoteva la testa in lacrime, la stessa che aspettava coppi passare sotto la finestra di casa. La stessa che ad ogni curva del GP, saltava sulla poltrona. Perchè lei mi ha insegnato a vivere le persone, anche quelle che a tutti sembrano lontane. "Perchè chiunque può darti emozioni" mi diceva sorridendo "non prenderle per se, sarebbe stupido ..." e si accendeva una sigaretta, pregandomi di non farne parola.
Ed io in questo sono cresciuta, nell'emozionarmi negli altri. E ora sono io che mi accendo una sigaretta pensando a lei. E posso anche piangere mentre sorrido ricordando le sue dita nodose fra i capelli.

Perchè io vivo. E lei in me.